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Calabrone

A fine agosto ho partecipato all’incontro nazionale dei Bilanci di Giustizia a Calambrone (Pisa). Più che un resoconto, ho voglia di condividere un’immagine che mi sono portato a casa sul ruolo che possiamo giocare nel cambiamento.

Andrea Saroldi, 9 settembre 2017.

Giovedì 24 agosto 2017, al mattino concludo una settimana di vacanza in famiglia al campeggio di Piano di Sorrento (Napoli). Le recenti visite agli scavi di Ercolano e Pompei richiamano alla mente le istantanee di una civiltà fotografata nella sua vita di tutti i giorni, e invitano a chiedersi quali immagini lascerà in eredità la nostra epoca.
Insieme a mia moglie Daniela salutiamo e spediamo i figli che rientrano in treno, smontiamo il campo e partiamo per arrivare nel pomeriggio a Calambrone, frazione di Pisa, all’incontro annuale dei Bilanci di Giustizia. Troviamo molti amici vecchi e nuovi, un centinaio di persone tra cui diverse famiglie e un discreto numero di bambini e ragazzi che dormono in tenda e seguiranno una loro attività. Siamo alloggiati in una casa per ferie in un piccolo parco; la presenza nelle vicinanze di centro commerciale, chiesa e spiaggia favorisce il sincretismo tra diversi culti oltre a quello della sobrietà. Il cibo è ottimo, l’atmosfera piacevole.
La prima sera ogni partecipante è invitato a disegnare e descrivere la sua “costellazione”, l’insieme di organizzazioni e ambienti in cui opera e cerca di portare il cambiamento. L’ho trovato un passaggio importante, perché oltre a valorizzare la grande varietà di connessioni, mette in evidenza quanto queste possano aiutare la trasformazione.
Le giornate da venerdì a domenica mattina proseguono secondo il programma con testimonianze da parte di relatori invitati, gruppi di lavoro, restituzione dei primi risultati della ricerca in corso sui Bilanci di Giustizia, incontri in plenaria, autoproduzione della pizza, tempo per gli scambi e momenti di svago tra cui la caccia al tesoro notturna e l’esilarante spettacolo di improvvisazione teatrale.
Dalla testimonianza di Donatella Turri, direttrice della Caritas di Lucca, ricavo la necessità di impegnarci nel trasformare il volto delle città per come si presenta ai suoi abitanti, agitando e rimescolando le forze di cambiamento già attive, portando insieme gioia e speranza. Come nella preghiera in cui Madeleine Delbrel chiede di essere come il filo che serve a tenere insieme i vari pezzi di un vestito ma deve restare invisibile perché emerga la trama.
Anche Max Strata, formatore sui temi della transizione, ci parla delle possibilità di attivare le comunità locali formate dai cittadini che abitano un quartiere o un villaggio. In questa prospettiva, i fitti legami tra i partecipanti ed i gruppi dei Bilanci di Giustizia con le altre persone e gruppi, già molto frequentati, assumono un’importanza strategica in quanto la nostra possibilità di attuare il cambiamento nelle comunità locali passa dal coinvolgimento di un gran numero di abitanti, come nell’esperienza delle città in transizione di Totnes o Bristol nel Regno Unito.
Provando a ricomporre queste riflessioni all’interno dei gruppi di lavoro, mentre ci interrogavamo sul futuro della campagna dei Bilanci di Giustizia a partire dai primi risultati della ricerca, mi è comparsa un’immagine sul ruolo che possiamo giocare nella trasformazione. Molti di noi non solo sono inseriti in diversi gruppi, ma fanno in modo che questa moltitudine, anche se faticosa, possa essere arricchente sia per sé che per i diversi luoghi attraversati.
Mi sembra un ruolo simile a quello dell’ape bottinatrice, che vola di fiore in fiore per raccogliere polline, nettare, acqua e propoli, e quando rientra all’alveare racconta alle altre api con una danza dove ha trovato le risorse necessarie alla vita dell’alveare. Ogni ape visita migliaia di fiori al giorno a seconda della fioritura e in questo modo, per come è fatta, raccoglie e porta il polline da un fiore all’altro consentendo la riproduzione della vita e la biodiversità. La ricerca delle risorse necessarie a realizzare il miele e al funzionamento dell’alveare porta con sé il trasporto del polline per la fecondazione dei fiori in cui si è soffermata lungo la strada; questi fiori diventeranno frutti, grazie al polline di un altro fiore trasportato dall’ape.
Penso che sia un ruolo utile che possiamo giocare e valorizzare nella transizione: mescolare il polline mentre passiamo da un fiore all’altro in modo che i fiori possano diventare frutti, allo stesso tempo procurare le risorse che servono alla nostra casa e trasportare le risorse che servono agli altri, facilitare la fecondazione tra i fiori e non dimenticarsi di raccontare con una danza ai nostri vicini dove abbiamo visto la fioritura.
Mi piace questa immagine perché parla di un ecosistema in cui la riproduzione della vita coinvolge regni e specie diverse che abitano lo stesso luogo. Voglio essere un’ape, o almeno un calabrone! Questa è l’immagine della vita quotidiana che vorrei lasciare alle epoche future.

Pubblicato su volontariperlosviluppo.it, foto di Andrea Saroldi.

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