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redazione ,
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Spreco Alimentare

La ricerca "Spreco alimentare. Approccio sistemico e prevenzione strutturale" disponibile on-line indica come le reti alternative del cibo siano in grado di ridurre la quantità di spreco fino ad otto volte nel caso di reti alimentari capillari su base agroecologica, locale, solidale e di piccola scala come nei gruppi di acquisto solidale o nelle agricolture supportate da comunità (CSA), mostrando una efficacia di questi sistemi notevolmente superiore a quella dei sistemi industriali.

Gli attuali sistemi alimentari sono tra le principali cause di superamento dei limiti planetari di stabilità e resilienza ecologica. Globalmente due persone su tre soffrono di seri problemi nutrizionali (denutrizione, malnutrizione, sovrappeso, obesità). Nessun paese al mondo è in condizioni di autosufficienza alimentare e gravi sono le disuguaglianze.
Nello studio Spreco alimentare. Approccio sistemico e prevenzione strutturale* sono analizzate le connessioni più rilevanti tra le disfunzioni dei sistemi alimentari e altri temi fondamentali, così da costruire una visione d’insieme socio-ecologica che comprende la sicurezza e la sovranità alimentare, la bioeconomia circolare, il consumo di suolo, acqua, energia, il degrado dell’integrità e diversità biologica, le alterazioni climatiche e nei cicli biochimici di azoto e fosforo. Dall’esame dei quadri concettuali esistenti si giunge a una definizione sistemica dello spreco che comprende elementi fondamentali finora poco considerati come, ad esempio, le perdite nette negli allevamenti animali e la sovralimentazione. Sono indagati in dettaglio cause di spreco e condizionamenti strutturali lungo differenti tipi di filiere e modelli (colli di bottiglia).
Considerando anche sovralimentazione e perdite nette da allevamenti, insite nei derivati animali alimentati con prodotti edibili, lo “spreco sistemico” rispetto ai fabbisogni raccomandati, potrebbe essere nel mondo circa il 50% della produzione iniziale (1960 kcal/procapite/giorno). La tendenza globale suggerisce che a lievi aumenti del fabbisogno medio si risponde con eccessi di produzione, fornitura e consumi, generando aumenti esponenziali di spreco (32 volte quello del fabbisogno). Laddove produzione e forniture calano anche gli sprechi scendono. Ciò mostra che tra le cause principali di spreco vi sono la sovrapproduzione, la sovraofferta, il sovraconsumo, la distribuzione asimmetrica.
Lo “spreco sistemico” potrebbe essere in Italia almeno il 63% della produzione iniziale (4160 kcal/procapite/giorno). In Italia l’impronta ecologica dello spreco alimentare impiega circa il 50% della biocapacità del paese, ovvero la capacità del territorio di rigenerare risorse e assorbire rifiuti in tempi limitati. L’impronta ecologica mondiale dello spreco alimentare incide per il 58% sul deficit totale di biocapacità. Gli effetti ambientali ed ecologici sono associati soprattutto alle fasi produttive più che allo smaltimento dei rifiuti alimentari.
Gli sprechi sono molto minori in reti alimentari corte, locali, ecologiche, solidali e di piccola scala rispetto ai sistemi convenzionali. Nelle filiere corte, locali e biologiche (vendita diretta, mercati degli agricoltori, …) la produzione di rifiuti alimentari è mediamente 3 volte inferiore a quella dei sistemi convenzionali. Addirittura essa è mediamente 8 volte inferiore in reti alimentari ancor più capillari su base agroecologica, locale, solidale e di piccola scala come nei gruppi di acquisto solidale o nelle agricolture supportate da comunità (CSA, dove i consumatori sono anche produttori). Chi si approvvigiona solo tramite reti alternative spreca in media un decimo di chi usa solo canali convenzionali. Le prestazioni ambientali e sociali di questi sistemi sono di gran lunga più efficaci rispetto ai sistemi industriali. Le reti alternative riducono le intermediazioni, i passaggi e l’occorrenza di eccedenze e sprechi, anche per il maggior valore economico dei prodotti. I cibi si conservano più a lungo per i consumatori. Questi tendono a sviluppare una maggior consapevolezza dei processi alimentari e ad assegnare maggiore valore sociale e culturale al cibo che acquisiscono. Inoltre migliore è la programmazione e il coordinamento della produzione con il consumo, nonché con i fabbisogni e le diete raccomandate; il che implica anche minori sprechi da sovralimentazione o da consumo di derivati animali (perdite nette per allevamento). Più efficace è la gestione dell’invenduto e soprattutto il controllo dei vincoli tecnici e commerciali nella produzione e nella distribuzione. Ciò rende più equa e condivisa la determinazione dei costi e dei prezzi del cibo, che molto spesso sono  la causa di perdite in campo o sprechi nel consumo.
Considerando le impronte ecologiche dei sistemi alimentari e dei loro sprechi, per rientrare nelle biocapacità dei territori, gli sprechi sistemici (con sovralimentazione e uso per allevamenti) vanno ridotti ad almeno un terzo degli attuali nel mondo e ad almeno un quarto in Italia. Obiettivi minimi potrebbero essere livelli medi di spreco sistemico al di sotto del 15-20%, con riduzioni dei surplus, dei fabbisogni complessivi e una transizione verso la rilocalizzazione ecologica e solidale di reti e sistemi agro-alimentari di piccola scala. Le reti alternative hanno il potenziale per coprire la domanda alimentare dei singoli paesi ed è essenziale svilupparle e renderle accessibili ad una parte sempre più ampia della popolazione, risolvendo i condizionamenti che le limitano.
Viene quindi individuata la priorità di spostare l'attenzione da soluzioni volte a minimizzare la produzione di rifiuti alimentari (recupero e riciclo), verso soluzioni più strutturali, in grado di prevenire alla fonte la produzione di eccedenze alimentari e i conseguenti sprechi ed effetti negativi. La bioeconomia quasi-circolare dovrebbe infatti svilupparsi evitando il paradosso di Jevons (aumenti di efficienza generano incrementi del consumo totale di risorse) usando eccedenze entro quote “fisiologiche”.
Nello studio sono estesamente trattate numerose buone pratiche e proposte di prevenzione strutturale a molti livelli (istituzioni, società civile, imprese, cittadini). Queste trasformazioni possono diventare le principali basi di una strategia complessa per garantire autosufficienza, benessere e sicurezza alimentare, mediante lo sviluppo coordinato e autosostenibile di comunità alimentari locali, paritarie e diversificate, con resilienza ecologica e sociale, ovvero capacità di adattamento e prevenzione di fronte ai pericoli naturali e antropici che si stanno manifestando.

* Questo studio è stato prodotto nell’ambito di un’ampia attività di ricerca libera sulla sostenibilità socio-ecologica dei sistemi alimentari, iniziata da almeno 3 anni. Secondo un approccio il più possibile sistemico, essa unisce elementi interdisciplinari di analisi e diagnosi tecnico-scientifica a esperienze dal basso nelle reti autonome della società civile. Parte di questa ricerca è confluita nel Rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) “Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”. I contenuti di questa pubblicazione non impegnano ISPRA in nessun modo e ad alcun titolo.

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