Quanto sta emergendo in questi giorni a Roma con l'inchiesta "Mafia capitale" ci interroga pesantemente, e quindi dobbiamo cogliere l’occasione per discutere, per apprendere e per chiarirci su cosa intendiamo per economia solidale. Anche a prescindere dalla presenza di un “mondo di sotto”, molte delle realtà che si definiscono buone pratiche di economia solidale, nel loro operare scelgono o sono spinte ad entrare in una zona grigia, ad oltrepassare il confine fra il mondo del solidale e del concorrenziale. In questo secondo mondo, con diversi gradi di intensità, vige la legge della lotta per la sopravvivenza, la legge del più forte. Nascono così i compromessi in cui progressivamente si affievoliscono i codici etico-morali, fino ad oltrepassare, se necessario e se le condizioni ambientali lo richiedono, il confine dell’illecito. Se ci si pensa, concorrenza e crescita sono consustanziali: nel mondo, nell’immaginario della concorrenza la crescita è la strategia obbligata per dominare, per sconfiggere l’avversario. Questa è la logica di qualsiasi impresa economica che per sopravvivere, pur definendosi etica, sociale, solidale ecc. se si trova immersa in un ambiente competitivo è costretta ad operare per acquisire fette di mercato privato (i consumatori) e/o pubblico (commesse, contributi, agevolazioni). Diversamente, l’impresa che voglia restare fedele ai principi solidaristici che l’hanno fatta nascere o trova una nicchia ecologica per la sua sopravvivenza o muore. Quindi, se non creiamo un ambiente governato dalla logica della solidarietà (Caillé parla del dono) le nostre imprese solidali non riusciranno a creare da sole l’ambiente idoneo. Certo, non c’è temporalmente un prima (l’ambiente) ed un dopo (le imprese); dobbiamo fare insieme l’operazione. La strategia dei distretti (per piacere, reali), delle comunità distrettuali fatte dai cittadini (siano essi produttori e/o consumatori) è la condizione necessaria affinché le imprese trovino un ambiente sociale in grado di sostenerle ma anche di condizionarle, di porre loro dei limiti e allo stesso tempo sottrarle alla logica della concorrenza. In sostanza, è l’operazione descritta dal buon Polanyi quando parla del riradicamento dell’economico nel sociale. Sappiamo benissimo che molti (singoli o piccole imprese) si avvicinano all'economia solidale perché spinti dalla necessità della sopravvivenza, più o meno intrecciata ai valori solidaristici. Dobbiamo trovare il modo per evitare che tali valori siano resi strumentali, fin che servono, al bisogno della sopravvivenza. Come fare? Come allevare i necessari anticorpi per evitare queste derive? Come creare nelle reti di economia solidale un ambiente in cui i comportamenti collaborativi siano dominanti e vengano in questo modo limitati gli effetti nocivi dei cosiddetti "free-rider", quelli che corrono per se stessi? Questo è il punto di vista con cui vorremmo affrontare la questione affinché possa portare ad una maturazione utile per tutti.
A questo link il comunicato di laboratorio urbano Reset su comune-info.net
http://comune-info.net/mafia-romana-citta-dellaltra-economia
A questo link la replica del Consorzio CAE su cittadellaltraeconomia.org
http://www.cittadellaltraeconomia.org/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=17&Itemid=187