Il primo Gas è stato fondato a Fidenza nel 1994, e nel preparare i festeggiamenti per il ventennale di questo movimento multiforme viene spontaneo proporre qualche valutazione a grandi linee su cosa è stato fatto e cosa resta da fare.
Andrea Saroldi, 27 gennaio 2014
I Gruppi di acquisto solidale (Gas) hanno introdotto un meccanismo di acquisto collettivo che si basa sulle relazioni dirette e la circolazione di fiducia all'interno del gruppo e con il produttore. Il meccanismo funziona, soddisfa i bisogni di chi partecipa e genera risposte positive che sostengono il cambiamento delle abitudini e la sua diffusione. Il numero dei Gas è così continuato a crescere in tutti questi anni: oggi in Italia se ne contano circa mille censiti sul sito retegas.org e si stima che ce ne siano almeno altrettanti non registrati.
Con la diffusione del fenomeno, i Gas hanno iniziato ben presto a chiedersi come questo meccanismo che funziona bene su piccola scala potesse essere riprodotto su scale via via più ampie, a partire dalle retine di Gas locali che sostengono una filiera partecipata, alla costruzione di reti locali di economia solidale insieme agli altri soggetti del territorio (i DES, distretti di economia solidale), fino a progetti a livello nazionale chiamati "dei grandi numeri" allo scopo di estendere il paniere dei Gas a prodotti e servizi su cui è necessario organizzarsi su scala più ampia: energia, assicurazioni, finanza, telecomunicazioni, abbigliamento, etc.
Le soluzioni e le esperienze sviluppate in questi anni hanno generato una grande quantità di risposte, per cui viene da chiedersi come utilizzare questo patrimonio. Su questi livelli delle reti locali e dei grandi numeri sono attivi moltissimi progetti, una cinquantina di territori hanno avviato dei processi per la costruzione di distretti di economia solidale, ma si avvertono anche delle difficoltà ed i risultati in alcuni casi hanno una diffusione al di sotto delle aspettative dei proponenti.
Forse ci siamo immaginati che la forza di questo meccanismo che funziona bene su piccola scala dovesse rimanere inalterata anche su scala più ampia, e così ci aspettiamo che la crescita dei Gas si porti dietro naturalmente una crescita analoga nel numero di filiere partecipate, di distretti di economia solidale e di progetti dei grandi numeri; come se il passaggio dalla nicchia dei Gas ai circuiti più ampi avvenisse per forza propria, in modo naturale e spontaneo.
Abbiamo però trascurato un aspetto fondamentale: la forza del meccanismo dei Gas si basa sulla relazione diretta all'interno del gruppo e con il produttore, e questa non si può riprodurre tal quale su scala più ampia, dove le distanze e la complessità della filiera per forza di cose aumentano. Se vogliamo riprodurre il meccanismo dei Gas all'interno di una filiera, un distretto di economia solidale o un progetto dei grandi numeri dobbiamo costruire quel legame di relazioni all'interno della comunità che lo sostiene anche senza conoscere la faccia di ogni persona che ne fa parte.
Penso dunque che siano due le sfide principali da affrontare, se non vogliamo restare inerti nel passaggio d'epoca che stiamo attraversando. La prima sfida è quella di rivolgersi a tutti, non solo ai gasisti affezionati. Le soluzioni che abbiamo allevato nella nicchia sono ora abbastanza forti per affrontare il mondo, ed è questa l'unica strada per poter mettere a frutto quanto abbiamo imparato. Questo significa ragionare e sperimentare in grande, mostrando nella pratica che le soluzioni sviluppate all'interno di una rete di relazioni di fiducia funzionano perché soddisfano meglio i nostri bisogni. Oltretutto, penso che oramai il "target" delle persone disponibili ad entrare in un Gas sia quasi saturo, per cui l'unica espansione potrà avvenire al di fuori. In questo senso vanno già molte esperienze, tra cui in particolare quelle legate alla Piccola Distribuzione Organizzata (PDO), che all'interno di una rete locale utilizzano l'esperienza dei Gas per generare risposte in grado di soddisfare le esigenze non solo dei gasisti ma anche della popolazione del territorio, in questo caso per distribuire i prodotti dell'economia solidale.
Ci siamo sempre detti che il benvivere che cerchiamo è per tutti, ma poi nei fatti siamo per forza di cose partiti dalle esigenze di chi è coinvolto direttamente. Ora dobbiamo all'interno delle nostre reti trovare delle risposte che possano funzionare per tutti.
Per fare questo dobbiamo però affrontare la seconda sfida: costruire un immaginario collettivo che possa sostenere questa trasformazione. Penso infatti che un immaginario in cui si possa trovare il senso della comunità sia l'unico modo per sostenere i circuiti di fiducia all'interno di filiere più lunghe, in cui non ci si può conoscere tutti direttamente. Forse abbiamo un po' trascurato la solidarietà rispetto alla giustizia, che rischia di essere un fatto personale che può fare a meno della fatica dell'incontro con l'altro.
Ancora una volta possiamo trarre ispirazione dall'America Latina, che al termine benvivere sta iniziando ad affiancare il ben-convivere per porre l'accento su questi aspetti legati alla relazione con la comunità e alla ricerca di soluzioni per tutti. Come scrive Xavier Albó definendo il benvivere sull'Agenda Latinoamericana Mondiale del 2012: "Gli elementi chiave che si stanno già concentrando mi spingono a interpretarlo come il convivere bene tra tutti, includendo: il benessere di ciascuno di noi, tra gli esseri umani, e con tutto ciò che è vita”.
Sono queste le sfide che abbiamo davanti: trovare soluzioni che funzionino per tutti, sostenuti da un immaginario che riconosce il vantaggio di pensarsi insieme. Non sono facili per la nostra civiltà post-capitalista, ma sono credo la nostra unica possibilità per affrontare attivamente la profonda trasformazione che la nostra società ed il nostro pianeta stanno attraversando.
Pubblicato su volontarperlosviluppo.it.
Immagine dalla copertina della Agenda Latinoamericana 2012.